98KOS
Roberto Casati
Problemi di spazio
(1998)
La natura dello spazio è stata un’inesauribile fonte di grattacapi in tutta la storia della scienza occidentale. Intelletti come Zenone, Euclide, Aristotele, Leibniz, Newton, Kant, Gauss, Mach, Einstein e Husserl vi hanno dedicato una parte cospicua delle loro energie. E in effetti lo spazio costituisce un problema per molti aspetti oscuro. Come ha scritto il filosofo della scienza australiano Graham Nehlich, lo spazio è problematico perche "da un lato siamo inclini a esprimerci in modo assai perentorio al suo riguardo: tutto ciò che esiste ha una posizione spaziale; lo spazio è infinitamente largo, infinitamente compenetrabile e infinitamente divisibile. D’altro lato... lo spazio è elusivo, al punto da sembrare bizzarro. Sembra non avere proprietà — a parte quelle, molto marcate, appena citate. È impercettibile—quale che sia il tipo di percezione. Non ha proprietà materiali, non ha proprità causali, non fa nulla. Non sembra avere caratteristiche di cui potremmo accorgerci osservandolo. Anche se ha un ruolo importante nella scienza, non è affatto chiaro di che ruolo si tratti." E conclude che "sebbene l’essere una cosa spaziale sia praticamente una firma di ciò che è reale, lo spazio stesso sembra paradossalmente irreale—un puro niente" (Nehrlich 1994, p. 1).
Le prime indagini sullo spazio, in un’epoca in cui filosofia, fisica e psicologia attingevano a una stessa base, hanno fatto ricorso all’intuizione, ovvero alla capacità che ciascuno di noi ha di rappresentare mentalmente una situazione spaziale (una capacità che da molti è stata considerata innata: lo schiavo del Menone platonico riusciva a giustificare un enunciato geometrico senza aver avuto un’istruzione in geometria). E come è avvenuto per tanti altri oggetti di indagine la storia della scienza ha registrato una progressiva emancipazione della fisica dalla filosofia e dall’intuizione. Questa emancipazione ha diversi motivi storici, ma col senno di poi la ragione più semplice è che l’intuizione umana è condizionata dalle peculiarità psicologiche e quindi neurofisiologiche che si sono manifestate durante l’evoluzione della specie. Non c’è quindi nessuna garanzia che il nostro sistema di rappresentazione, risultando da un bricolage evolutivo tanto complesso, debba essere in grado di fornire una rappresentazione di un qualsiasi oggetto fisico—nel nostro caso, dello spazio—che sia adeguata anche ai fini dell’indagine scientifica. Non solo lo spazio può avere più proprietà di quante siano accessibili all’intuizione; può anche avere proprietà che sfuggono del tutto all’intuizione, o che sono addirittura del tutto controintuitive.
La sorpresa che ciascuno di noi prova quando riflette sulle proprietà di un nastro di Möbius ne è una prova. (Si ottiene artigianalmente un nastro di Möbius unendo le due estremità di un nastro dopo averlo sottoposto a una torsione.)
Perché il nastro è sosprendente? È come se si accettasse implicitamente una regola che dice: "Se un oggetto ha localmente un recto e un verso, il bordo divide sempre le due facce in modo tale che non si può passare dall’una all’altra senza attraversare il bordo". Questa regola è violata dal nastro di Möbius: localmente c’è un recto e c’è un verso, ma possiamo passare dal un punto al recto alla sua immagine al verso senza attraversare il bordo. (Un altro esempio classico in storia della scienza delle difficoltà che incontra l’intuizione è dato dalle geometrie non euclidee, che richiederebbero un lungo discorso.)
Ma qual è lo statuto di una regola intuitiva come quella che descrive le proprietà dei bordi di un nastro? Si tratta di una legge del pensiero la cui validità è soltanto psicologica? In tal caso sembrerebbe interessante studiare leggi di questo tipo senza preoccuparsi della loro capacità di descrivere il mondo fisico.
L’intuizione spaziale, una volta perso il ruolo di fondamento per discipline che tendenzialmente ne fanno a meno, è così diventata essa stessa un oggetto di indagine. Forse il primo importante testo specificamente dedicato alla psicologia dello spazio è Sull’origine psicologica del concetto di spazio (1873) di Carl Stumpf, filosofo e psicologo tedesco (1848-1936) per certi versi all’origine della scuola della psicologia della Gestalt. E gli psicologi della Gestalt hanno dato un contributo essenziale allo studio della rappresentazione spaziale elencando le condizioni in cui lo spazio visivo si segmenta in figure e sfondi seguendo leggi psicologiche che possono—una volta di più—non corrispondere a situazioni fisiche.
Una volta che l’intuizione spaziale è stata messa sul tavolo dell’indagine, si è scoperto che essa stessa era del tutto controintuitiva. Non solo l’intuizione spaziale non è trasparente rispetto allo spazio fisico; non è nemmeno trasparente a se stessa. Per esempio, sembra a prima vista impossibile dissociare un oggetto da una posizione nello spazio—gli oggetti devono pur stare da qualche parte, si direbbe. Tuttavia sono state riscontrate alcune patologie in cui il ‘dove’ e il ‘che cosa’ non coincidono, il che suggerisce che si tratti di due proprietà trattate da facoltà mentali distinte.
Destra e sinistra
Spesso credendo di fare scoperte sullo spazio fisico si sono in realtà messi in evidenza alcuni interessanti fatti psicologici. Un argomento molto elegante che cerca di provare, sulla base di una proprietà dell’intuizione, che lo spazio ha alcune proprietà fisiche profonde, è stato dato dal filosofo prussiano Immanuel Kant (1724-1804) in un articolo giovanile dal titolo "Sulla prima differenza tra le due regioni dello spazio". Kant si chiede come possiamo spiegare la differenza tra la mano destra e la mano sinistra. La differenza può dipendere dalle relazioni interne tra le parti della mano, ma queste relazioni sono le stesse nel caso delle due mani; può dipendere dalle relazioni estrinseche tra una mano e un altro oggetto materiale, ma la mano destra potrebbe essere il solo oggetto nell’universo senza per questo smettere di essere destra. Kant pensa che la spiegazione della differenza stia nel fatto che le mani sono immerse in uno spazio che ha un orientamento intrinseco, e questo lo porta ad asserire l’esistenza di uno spazio assoluto.
Al di là dell’interesse ormai solo storico della conclusione di Kant, è innegabile che egli mette in luce un problema interessante, perché i concetti di destra e di sinistra sono molto particolari. Potete accorgervene se fate l’esperimento seguente. Telefonate a un amico, e senza mai nominare ‘destra’ e ‘sinistra’ cercate di fargli alzare la mano sinistra. A meno di barare (ricorrere a segni particolari o sue abitudini a voi note, come tenere il telefono con la sinistra) il compito è semplicemente impossibile. Per esempio, potete dirgli: ‘tieni le mani tese davanti a te, il palmo rivolto verso il basso; alza la mano che ha il pollice rivolto verso...?’ e a questo punto o dite ‘verso l’interno’, ma entrambe le mani hanno il pollice rivolto verso l’interno, o ‘verso destra’—tradendo così il vincolo. Non è possible definire i concetti di destra e sinistra senza presupporli.
Ma da dove viene questa particolarità della destra e della sinistra? E perché si confondono facilmente tra loro destra e sinistra, quando non si fa nessuna confusione tra alto e basso? Quando il linguista Paul Bloom e la psicologa Mary Peterson si sono posti reciprocamente la domanda sono rimasti stupiti nello scoprire che gli psicologi considerano il problema come principalmente linguistico, e i linguisti lo considerano invece come psicologico. Il volume Language and space pubblicato da MIT Press nel 1996 raccoglie i risultati del seminario e del convegno organizzati per rispondere a questa e molte altre perplessità nate dall’interazione tra linguaggio e rappresentazione. Si tratta di un problema certo generale: come comunicano tra di loro due settori della mente, la percezione e la facoltà linguistica, che a prima vista hanno proprietà tanto differenti? (Che comunichino tra di loro è un fatto: possiamo parlare di quello che vediamo, e possiamo visualizzare spazialmente ciò di cui parliamo.) Nel caso spaziale il problema è reso più difficile dal fatto che la percezione sembra chiaramente "continua" e il linguaggio chiaramente "discreto". Per esempio, sappiamo distinguere tra di loro a prima vista moltissime forme differenti, per le quali non abbiamo un nome. Tuttavia in molte forme, anche del tutto bizzarre, possiamo reperire delle parti che chiameremmo ‘lato’, ‘il sopra’, ‘un capo’, ‘centro’, parti che non hanno una configurazione caratteristica. Queste parti sono individuate spesso facendo riferimento a un asse principale della figura. Ray Jackendoff nel suo contributo ("The Architecture of the Linguistic-Spatial Interface") si chiede se questo asse sia calcolato on-line durante la percezione o venga assegnato dopo un accesso alla struttura concettuale—il catalogo universale della mente in cui si ritrovano tutti i concetti di base che costuiscono i significati delle parole delle varie lingue. Stando alla seconda ipotesi una volta riconosciuta una forma la mente andrebbe a consultare la rubrica nel catalogo e ne deriverebbe un’informazione sulla presenza di un asse. Ma il fatto che troviamo facilmente un asse anche a figure del tutto inedite e inclassificabili suggerisce che la prima ipotesi (il calcolo on-line) sia corretta. Questo risultato è la versione in piccolo dell’ipotesi generale evocata poc’anzi e che tende a mostrare come il ‘dove’ e il ‘che cosa’ vengano rappresentati separatamente nel cervello.
Destra e sinistra, dicevamo, sono proprietà curiose. Una spiegazione della loro stranezza può consistere nel fatto che si tratta di proprietà primitive, non ulteriormente riducibili. Ma di che cosa sarebbero proprietà primitive? Gli argomenti di Kant suggeriscono di non considerare la differenza come una proprietà degli oggetti; possiamo pensare che si tratti di proprietà primitive del modo psicologico di rappresentare gli oggetti—se si preferisce, dello spazio soggettivo. È come se lo spazio soggettivo fosse ‘marcato’ e portasse una stampigliatura che ne caratterizza una regione come destra e un’altra come sinistra. Lo spazio assoluto esiste, anche se non coincide, come invece voleva Kant, con lo spazio fisico ma con una struttura psicologica.
Dentro e fuori
Destra e sinistra constituiscono un caso particolare di rappresentazione spaziale. Possiamo considerarle come nozioni centrate su un soggetto o su un oggetto con un’asimmetria fondamentale; alla stregua delle nozioni sorelle su e giù o davanti e dietro esse presuppongono una prospettiva, un punto di vista sul mondo. Vi si contrappongono nozioni come l’inclusione o il contatto, che non fanno riferimento ad alcun punto di vista. Un oggetto è accanto a un altro o è all’interno di un altro da qualsiasi punto di vista li si consideri. Queste nozioni distaccate, non centrate, hanno proprietà logiche che le rendono affini ad alcuni concetti chiave della topologia elementare, e sono state le nozioni più studiate in Intelligenza Artificiale in quanto sono fondamentali per la descrizione dell’articolazione spaziale di un oggetto (un’articolazione che in un secondo tempo soltanto richiede l’uso dei termini "centrati" come ‘destra’ o ‘sotto’). Uno dei progetti chiave dell’intelligenza artificiale consiste nella rappresentazione formale della conoscenza di un soggetto umano—conoscenza che verrà idealmente utilizzata da un sistema esperto. Molti sistemi esperti prevedono una "gestione" dello spazio: sistemi di traduzione linguistica che interpretano le espressioni spaziali (e cercano per esempio di tradurre in italiano l’inglese ‘above’); sistemi di informazione geografica (SIG) che devono rispondere a domande provenienti da utilizzatori con esigenze svariate; sistemi di esplorazione visiva e di controllo del movimento delle parti di una macchina. E magari anche sistemi che mettono in relazione tra loro altri sistemi. L’intelligenza artificiale non deve misurarsi con i vincoli della psicologia (se non quando si tratta di tener conto delle limitazioni percettive o di ragionamento degli utilizzatori di un sistema esperto) e può permettersi di costruire teorie che isolano alcuni fattori pertinenti per un compito dato senza curarsi—almeno provvisoriamente—delle relazioni con altri settori della conoscenza. Il nucleo delle proprietà topologiche dello spazio viene così abbastanza naturalmente sfrondato delle proprietà ‘centrate su un soggetto’ come destra e sinistra.
Una tendenza interessante, sviluppatasi in questi ultimi anni, ha cercato di rappresentare la conoscenza topologica usando concetti primitivi come parte e contatto, più intuitivi di quelli relativamente astratti di punto o insieme di punti usati ordinariamente in geometria e in topologia. Con le parole di Tony Cohn, uno dei maggiori esperti di rappresentazione spaziale in IA, "Gli approcci matematici standard alla topologia, la topologia generale (insiemi di punti) e la topologia algebrica, considerano i punti come entità fondamentali e primitive e costruiscono le entità spaziali estese come insiemi di punti con strutture addizionali sovraimposte a tali insiemi. Tuttavia tali approcci generalizzano il concetto di ‘spazio’ ben al di là del suo significato intuitivo" e non si occupano "delle specie di ragionamento intuitivo richiesto dalla vita di tutti i giorni" (Cohn et al., p. 99 del volume ‘Spatial and Temporal Reasoning’ curato da Oliviero Stock dell’IRST di Trento, che documenta gli sviluppi recenti della rappresentazione dello spazio in intelligenza artificiale). La strada che andrebbe invece seguita parte dalla constatazione che gli oggetti spaziali ordinari non si riducono mai a dei punti ma occupano sempre una regione. Le regioni sono inscatolate secondo relazioni di parte/tutto, e la matematica di questa relazione particolare è stata al centro di intense discussioni: quanto della topologia può venir rappresentato dando per scontate solo relazioni di parte/tutto tra le regioni? L’interesse di una ‘riduzione’ della topologia alla struttura parte/tutto delle regioni dello spazio è evidente per l’economia di un sistema esperto: se si può risparmiare qualche nozione si ottiene un database semplificato (e più facile da integrare con altri dominî di rappresentazione della conoscenza). Inoltre, nelle situazioni della vita reale ci sono solo approssimazioni ai punti (un agrimensore prenderà come "punto" un oggetto non puntiforme - un albero per esempio). (Detto questo possiamo sempre, se è necessario, parlare di punti, definendoli come classi di regioni; in pratica le regioni che inscatolandosi come matrioske circondano, al limite, il punto che si vuole individuare). E per finire i punti sono astrazioni anche da un punto di vista psicologico, il che è importante se si pensa che prima o poi qualunque sistema esperto deve avere un’interfaccia con persone reali che se pure sanno ragionare in termini di oggetti non necessariamente devono essere in grado di maneggiare nozioni geometriche astratte.
Come classificare gli oggetti secondo le loro parti
In questo modo gli interessi dell’intelligenza artificiale si riavvicinano a quelli della psicologia. Per esempio, la struttura parte/tutto degli oggetti ordinari è stata utilizzata da I. Biederman per formulare un’ipotesi sulla capacità di riconoscere e di classificare oggetti (l’ipotesi RBC, Recognition By Components). L’idea, in breve, è che quando osserviamo un oggetto lo scomponiamo in elementi geometrici di base, "ioni geometrici" o geoni, di forma grossomodo cilindrica, di cui viene descritta l’articolazione spaziale. Possiamo pensare al sistema di riconoscimento delle forme come composto da due agenti: il primo smonta l’oggetto fermandosi quando incontra un geone, e il secondo definisce il modo in cui ciascun geone si collega ad altri geoni. L’informazione viene passata a un’unità centrale che paragonandola a scomposizioni tipiche presenti in memoria decide di che oggetto si tratta. Studiosi come C.B. Cave e S.M. Kosslyn hanno criticato l’ipotesi di Biederman mostrando che quando si tratta di riconoscere un oggetto basandosi su informazioni visive carenti riguardo alla struttura parte/tutto o all’articolazione spaziale delle parti, la cosa riesce più facile quando la struttura parte/tutto non è preservata ma l’articolazione spaziale lo è, che nel caso inverso. (Riconosciamo più facilmente un paio di occhiali spezzati a caso ma le cui parti sono più o meno disposte negli stessi rapporti in cui stanno prima dell’incidente, che non un paio di occhiali smontati accuratamente ma le cui parti sono disposte a casaccio). Tuttavia questo tipo di critiche concerne solo il ruolo della scomposizione in parti all’interno del meccanismo di riconoscimento. Possiamo ammettere che la scomposizione non svolga un ruolo così importante come quello che le assegna Biederman, e tuttavia potremmo ancora trovare interessante studiare come riusciamo a scomporre un oggetto in parti spaziali.
Una difficoltà diversa e più sottile per la teoria di Biederman è che esistono oggetti refrattari alla scomposizione. Si consideri una ciambella (un oggetto chiamato ‘toro’ dai topologi). Non è un cilindro e quindi secondo la teoria di Biederman non è un geone. Dev’essere pertanto composta da altri geoni, più primitivi. Ma da quali geoni è composta? Ci sono in particolare due modi diversi (tra infiniti altri) di ricostruire una ciambella a partire da geoni cilindrici: giustapponendo due cilindri incurvati, o incurvando un cilindro fino a mettere in contatto le sue due estremità. E non c’è un modo stabile di scegliere tra le due possiblità. Sembra che ogni volta che si presenti una discontinuità topologica (il buco nella ciambella) una strategia di decomposizione come quella di Biederman sia destinata a incontrare una seria difficoltà. Questo fatto mostra che il tentativo di ridurre proprietà topologiche a strutture di parte/tutto è lungi dall’essere compiuto.
Due tipi di rappresentazione spaziale
Per riassumere, nella discussione contemporanea esistono due sensi principali in cui si parla di rappresentazione spaziale. E certo il termine ‘rappresentazione’ è volutamente ambiguo, anche se esiste un filo conduttore per i diversi significati che possiamo attribuirvi. Le due grandi opzioni sono (1) una teoria psicologica del modo in cui un organismo (un cervello, una mente, ma al limite anche un subsistema cognitivo e, quindi, anche una lingua come l’italiano o un suo frammento come il sistema delle preposizioni spaziali) rappresenta lo spazio in cui vive ed evolve: la rappresentazione spaziale deve da un lato organizzare l'input percettivo e d'altro lato fornire una base sufficientemente articolata per l'output dell'azione; (2) una teoria formale della rappresentazione geometrica dello spazio, che permetta di rendere conto di certe inferenze tipiche del ragionamento spaziale ("la biglia e' nel bicchiere, quindi non e' al di fuori del bicchiere"; "la biglia e' sul tavolo, quindi il tavolo e' al di sotto della biglia"). Queste due opzioni riflettono in modo naturale gli interessi della psicologia e dell'intelligenza artificiale rispettivamente. Una teoria formale nel senso (2) non sembra presupporre, ne' sembra essere presupposta da, una teoria psicologica nel senso (1). Sembra un dato di fatto che si possa ragionare sullo spazio in modo totalmente astratto, senza averne una qualsiasi rappresentazione intuitiva (e lo scopo di una teoria formale nel senso (2) e' idealmente quello di fornire un sistema assiomatico deduttivo in cui l'interpretazione spaziale non è necessaria per l’esecuzione delle inferenze); sembra d'altronde altamente plausibile che non solo gli animali inferiori ma anche i primati e l'uomo abbiano un sistema di rappresentazione spaziale che non richiede l'esecuzione di procedure inferenziali nel senso (2).
Tuttavia, questa relativa indipendenza non esclude che lo studio della rappresentazione spaziale in uno dei due sensi indicati sia utile per lo studio nell'altro senso. Dopotutto, i concetti astratti impiegati dal geometra derivano dalle nozioni solo apparentemente grossolane del senso comune (‘vertice’, ‘punto’, ‘concavità’), e queste ultime presentano elementi idiosincratici che sembra ragionevole imputare al funzionamento del sistema cognitivo preposto alla rappresentazione spaziale. E se d’altro canto tali nozioni intuitive non costituiscono un magma concettuale indifferenziato, ciò potrebbe venir spiegato dall'esistenza di una struttura come quella di un sistema formale.
Nota bibliografica.
Biederman I., 1987, ‘Recognition-by-Components. A Theory of Human Image Understanding’, Psychological Review 94, 115–147.
Casati, R. e Varzi, A.C., Buchi e altre superficialità. Milano: Garzanti, 1996.
Cave C. B. and Kosslyn S. M., 1993, ‘The Role of Parts and Spatial Relations in Object Identification’, Perception 22, 229–248.
Randell, D.A., Cohn, A.G., Antony G. Cohn, e Cui, Z., ‘Naive Topology: Modelling the Force Pump’, in B. Faltings e P. Strauss, a cura di, Recent Advances in Qualitative Physics, Cambridge, Mass.: MIT Press, 1992, pp. 177-92.
Cohn, A.G., Bennett, B., Gooday, J., e Gotts, N.M., ‘Representing and Reasoning with Qualitative Spatial Relations About Regions’, in Stock (1997), pp. 97-134.
Nehrlich, G., The Shape of Space, Cambridge: Cambridge University Press, seconda edizione, 1994.
Stock, O., a cura di, Spatial and Temporal Reasoning, Dordrecht: Kluwer.
Stumpf, C.,Über den psychologischen Ursprung der Raumvorstellung, Leipzig: Hirzel, 1873.
Immanuel Kant,
Van Cleve, J., ‘Right, Left and the Fourth Dimension’, The Philosophical Review, 1987, 96, pp. 33-68.
Bloom, P., Peterson, M.A., Nadel, L., e Garrett, M.F., Space and Language, Cambridge, Mass.: MIT Press, 1996.
Zelaniec, W., a cura di, Topology for philosophers, numero speciale della rivista The Monist, vol. 79, 1996.