0005Lettore

Roberto Casati

(Maggio 2000)

Che cos’è un lettore? Per lo scrittore è in primo luogo un potenziale amico, qualcuno cui offrire il resoconto dell'esplorazione di un territorio sconosciuto, qualcuno con cui potrà forse iniziare una conversazione e percorrere un tratto di strada in un territorio nuovo. Se scrivi, non c'è momento più inquietante di quello in cui ti giunge l'e-mail del lettore. Non c'è niente di più frustrante di un lettore cui non è piaciuto il tuo testo, e non c'è soddisfazione maggiore di quella provocata dalle lettera di chi ha visto, grazie al tuo libro, qualcosa che fino ad allora non aveva attirato la sua attenzione. Il lettore è colui per cui lo scrittore vive, che lo tiene sveglio la notte a finire un altro paragrafo. Ogni scrittore ha interiorizzato uno, due, mille lettori nella sua mente, li vede quasi: lo aspettano al varco, lo aiutano facendogli riscrivere pagine che a loro non piaceranno, lo incoraggiano a osare un pensiero nuovo, a cercare una parola ancora migliore.

O forse no. Forse questa immagine dello scrittore è troppo romantica. L'idea che scrittori e lettori siano cittadini di un'universale repubblica delle lettere non è necessariamente condivisa da tutti. Ma a chi potrebbe non piacere? La risposta sorprendente è che non piace ad alcuni di coloro cui dovrebbe piacere di più.

Qualche giorno fa trecento scrittori francofoni hanno firmato una petizione indirizzata da alcune società e corporazioni editoriali al ministro francese della cultura. I firmatari sono grossi calibri noti anche al pubblico italiano: Bernard-Henry Levy, Tahar Ben Jelloun, André Compte-Sponville, Jean Ziegler... Grandi firme per una causa curiosa: bersagliare le biblioteche pubbliche. Uno potrebbe chiedersi che cosa può fare di male una biblioteca pubblica per meritare il bombardamento dei grossi calibri. La risposta, agli occhi dei Trecento, è precisa. Pirateria.

Le biblioteche agirebbero da pirati dando in lettura gratuita i libri ai lettori. Pirateria, perché il lettore che prende in prestito un libro in biblioteca non lo compra e quindi lo legge a sbafo, senza ricompensare l’autore per il suo lavoro e l’editore per il rischio commerciale. Lo stato dovrebbe darsi da fare e trovare il modo di far versare un compenso agli autori e ai loro editori ogni volta che un libro s’invola dalle mura della biblioteca.

Le cifre sembrano parlare chiaro. Negli ultimi tempi, trecento milioni di copie all’anno vengono acquistate in libreria in Francia; centocinquanta milioni vengono prese in prestito in biblioteca. Dividendo per i sei milioni e mezzo di iscritti alle biblioteche pubbliche si ha dà una media di ventitré libri all’anno per utilizzatore (uno ogni due settimane). Si chiedano allora trentamila lire (cento franchi) a ciascun utilizzatore, e si dividano i circa duecento miliardi di ricavo dando un 30 per cento agli autori e il rimanente agli editori.

È un ragionamento cui si possono opporre e di fatto sono state opposte varie obiezioni. I dati sono grossolani: quanti dei 150 milioni di libri prestati generano diritti d’autore? Gli autori non perderebbero meno soldi se gli editori liquidassero i loro diritti con resoconti mensili e non annuali? Come fare a tener conto di tutti i movimenti di un libro? Per semplificare un’esazione tecnicamente difficile si è proposto di rimunerare indiscriminatamente tutti gli autori i cui libri si trovano sugli scaffali delle biblioteche, senza tener conto del numero di prestiti. Questo sembra inficiare uno degli argomenti di fondo della lettera. Perché mai un autore che nessuno legge deve ricevere altrettanto di uno il cui libro viene preso in prestito da molti? L’ingiustizia nei confronti del secondo non è sanata, e non si capisce quale giustizia sia resa al primo. E si dimentica che avere a disposizione una biblioteca significa riequilibrare un’altra fondamentale ingiustizia di cui è vittima il lettore-cliente. Perché mai si dovrebbero comprare i libri a scatola chiusa? La biblioteca ci dà la sola possibilità di leggere un libro, trovarlo insoddisfacente, e restituirlo senza costi.

L'industria culturale ha il fiato sul collo e la risposta protezionista ne è un indizio fin troppo chiaro. Un tipico argomento degli editori è che il prestito bibliotecario (e la sua sorellastra, la fotocopia) farà scomparire la monografia scientifica, non essendo possibile rimunerare adeguatamente l’autore e l’editore. È il lettore che alla fine verrà penalizzato. Non è però chiaro che sia davvero così. Le grandi firme non le fotocopia mai nessuno: avete mai pensato di fotocopiare l’ultimo Grisham? Le monografie scientifiche hanno comunque pochissimi lettori, che non sono certo sufficienti a sostentare gli autori che le scrivono. E Internet sta facendo scomparire a grande velocità i residui dell’edizione accademica, dato che gli autori pubblicheranno con piena soddisfazione i propri testi direttamente online. Nel mondo anglofono l’edizione accademica si sostenta grazie alle biblioteche. Un testo pubblicato da un buon editore accademico anglofono vende un migliaio di copie a tutte le biblioteche di università di media grandezza. Poco importa se in seguito il libro circola all’infinito. Certi miei colleghi statunitensi non hanno mai acquistato libri accademici. La biblioteca li lascia loro in prestito indefinitamente, fino a che un altro lettore non li richiede a sua volta. Ma qual è l’alternativa? In Europa le biblioteche inefficienti e prive di fondi per gli acquisti hanno certamente arricchito gli editori – impoverendo però i lettori. Il prezzo di una monografia scientifica può toccare i cento dollari. Venti monografie all’anno, una sciocchezza, rappresentano una porzione significativa dello stipendio di un impiegato statale.

Ma al di là degli aspetti economici c'è un problema morale che dovrebbe essere discusso.

Pensateci. Entrate in biblioteca, prendete un libro in prestito, e ne uscite con la tronfia soddisfazione di aver rubato qualcosa? Di aver mangiato senza pagare? No. Uscite e non vedete l'ora di tornare a casa a tuffarvi nel libro e stringere un nuovo rapporto con l’autore. I destinatari morali della lettera dei Trecento non sono le biblioteche o i ministri della cultura, ma i lettori. In questa lettera viene fatto capire ai lettori che di fatto sono vacche da mungere e poco più. Siamo di fronte alla rottura unilaterale di un sottile, quasi invisibile patto di fiducia e di ammirazione che lega autori e lettori nella repubblica delle lettere. Da interlocutori e compagni di viaggio i lettori divengono clienti. Clienti potenzialmente non paganti: di fatto tutti i lettori vengono criminalizzati per il semplice fatto di entrare in una biblioteca. E non c’è prestito che alla lunga non possa venir considerato criminale – anche il libro passato a un amico è in fondo in infrazione.

Quando si rompono i patti sociali i comportamenti si fanno incerti. Alcuni autori hanno chiesto alle biblioteche di segnalare chiaramente che i loro libri sono esclusi dal prestito. Non riesco a immaginare nulla di più strano per un autore – un bollino rosso che dice al lettore: non leggermi.