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Roberto Casati

Personalità

Il genoma umano è stato decifrato. Sulle spiagge milioni di persone riempiranno le caselline dei test della personalità che i settimanali stanno per pubblicare, come a ogni estate. Qual è la relazione tra questi due eventi? Semplice: la decifrazione del genoma potrebbe spiegare perché nei test io risulto pavido e il mio vicino di ombrellone coraggioso, o viceversa. Le personalità che il test ci attribuisce potrebbero dipendere da tratti genetici. A medio termine, intervenendo sulla biologia dei nascituri, potremo produrre supersoldati coraggiosi e onestissimi ministri.

Gli stessi decifatori del genoma mettono in guardia da questa immagine semplicistica. Francis S. Collins, il responsabile del Progetto Genoma Umano, ha dichiarato che una delle sue preoccupazioni è che "ora che cominciamo a intravedere alcuni dei contributi biologici a certi tratti della personalità, ci sarà chi tenderà ad attribuire un ruolo eccessivo a questi contributi" (NY Times, 27.6.2000). Ma la questione è molto più profonda.

Il senso comune utilizza le nozioni di coraggio o di cattiveria per spiegare il comportamento degli individui. Queste categorie ingenue vengono generalizzate nelle cosiddette "spiegazioni culturali". Una particolare cultura tutta balcanica, per esempio, spiegherebbe la difficoltà di trovare un assetto geopolitico stabile alla regione. Ma ci sono veramente persone coraggiose o cattive? E il loro comportamento deve proprio venir spiegato dalla presenza di una particolare dote, il coraggio o la cattiveria? Se così non fosse, l’intero progetto di andare alla ricerca del gene del coraggio o di quello dell’onestà sarebbe completamente privo di senso. Se non esiste la personalità coraggiosa non c’è nulla di cui si debba dare una spiegazione in termini biologici. Sarebbe come cercare il gene del volo negli umani.

Bisogna dunque chiedersi se veramente esistano i tratti della personalità, i caratteri, le virtù. E ci sono buone ragioni di dubitare della loro esistenza. In un articolo recente sui Proceedings of The Aristotelian Society (3, 1999) Gilbert Harman ha ricordato uno dei più importanti risultati della psicologia sociale, ottenuto nel 1973 dall’esperimento del "buon samaritano" di Darley e Bateson. Darley e Bateson chiedevano ai loro soggetti (studenti del Seminario Teologico di Princeton) di recarsi in un edificio a pochi minuti di strada per presentare un discorso improvvisato su un tema assegnato. Gli studenti avevano svariati orientamenti religiosi. Per metà degli studenti il tema era la parabola del buon samaritano. Ad alcuni di essi si diceva che potevano prendersela comoda, ad altri che erano in ritardo. La parte cruciale dell’esperimento avveniva sulla porta dell’edificio in cui i soggetti dovevano recarsi. Una persona giaceva per terra e chiedeva aiuto. Alcuni studenti si fermavano ad aiutare il bisognoso, altri lo scansavano. Bene, il risultato dell’esperimento mostra che solo il 10% degli studenti in ritardo si fermava, contro al 64% degli studenti che avevano ancora tempo. Essere cattolici o protestanti, avere o non aver presente la storia del buon samaritano era del tutto senza influenza. Il solo fattore correlato con l’aiuto dato al bisognoso era il tempo rimasto agli studenti.

È un esperimento tra molti. Il più famoso, dovuto a Millgram ed effettuato nel 1963, mostra che in certe condizioni non c’è modo di resistere alle pressioni di un’autorità di per sé del tutto resistibile: i soggetti cercavano di "educare" una cavia umana infliggendo scosse elettriche sempre più forti, di cui conoscevano il pericolo, solo perché lo sperimentatore diceva loro che "dovevano continuare". Due terzi dei soggetti arrivavano fino al punto in cui somministravano la scossa più forte.

Questi esperimenti, insieme a molti altri, rendono caduche le nozioni di personalità e di carattere. A meno che non si pensi che due persone su tre siano abitate dalla "cattiveria", si devono spiegare questi comportamenti principalmente con la pressione della situazione.

Ma se il peso della situazione è sempre preponderante, se non ci sono personalità o tratti del carattere, niente capitani coraggiosi né pavidi Lord Jim, non ci sono nemmeno spiegazioni biologiche della personalità. Di conseguenza l’opposizione "morale" alla conoscenza del genoma, che agita lo spauracchio della manipolazione genetica della personalità, perde il suo mordente. È il relitto di una psicologia antiquata, la cui migliore espressione restano i test estivi dei settimanali.