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Roberto Casati

Orgoglio e pregiudizio

(Lettera pubblicata su La Stampa in occasione della Gay Pride Parade)

 

Contro natura. Affidereste l’educazione dei vostri figli a chi vive contro natura? Gli affidereste la vostra e la loro esistenza? Senza nemmeno farvelo presentare per vedere se vi ispira fiducia? Probabilmente l’avete fatto decine di volte. Il pilota dell’aereo su cui ho appena viaggiato, per esempio, tanto naturale non era. Passa un quarto del suo tempo a mille all’ora in un tubo di metallo sospeso tra le nuvole. Non è il solo personaggio contro natura. La maggior parte delle persone che conosco (me compreso) fa cose del tutto innaturali: legge parole scritte centinaia di anni fa da sconosciuti, parla in tempo reale a persone all’altro capo del pianeta, sorpassa Tir, fa zapping alla televisione. Tempo sottratto alle attività per cui l’evoluzione ci ha programmati così bene: raccogliere bacche, copulare, raccogliere altre bacche, mangiare, dormire.

L’esempio è volutamente banale. Serve solo a mostrare che la nozione di ‘natura’ non può reggere da sola il carico morale che si legge nel divieto di fare ‘cose contro natura’. Per due ragioni. In primo luogo perché è una nozione dai margini confusi e dalla geometria variabile. I tentativi di circoscriverla hanno dato origine a miti grotteschi, come quello del buon selvaggio che si anniderebbe in ciascuno di noi e che lasciato a se stesso si scatenerebbe nel ciclo spensierato di raccolta bacche, riproduzione e sonno. Per fortuna non esistono né sembrano essere mai esistiti umani con queste prerogative: lo stato di natura è una finzione culturale.

In secondo luogo, anche se avessimo una nozione chiara e magari scientificamente confermata di che cosa è naturale e che cosa non lo è, potremmo veramente utilizzarla a fini morali? E in che modo? Potremmo ad esempio censurare, condannare o addirittura vietare i comportamenti che risultassero contro natura. La tentazione di usare la natura come garanzia per la morale è forte: la natura è inappellabile. E certo molte società, individui e religioni hanno censurato, condannato se non vietato molti comportamenti considerati non naturali. La sfera sessuale, dagli incerti confini (a cavallo tra l’istinto e la cultura), è sempre stata un bersaglio privilegiato. Certi Stati americani hanno bollato come illegali alcune posizioni dell’amore eterosessuale. Le culture del mondo hanno rapporti più o meno distesi con l’amore omosessuale. Tutto dipende da quanto circoscritto è il concetto di natura cui si fa ricorso di volta in volta. Se la nozione di natura è "larga", l’omosessualità è del tutto naturale. Ma se si invoca una naturalità "ristretta" si rischa di dover condannare e vietare anche l’uso dell’auto e dell’aereo, il mandare i propri figli a scuola e forse anche il mantenersi fedeli al proprio partner.

Devianza e malattia. Quanto la questione sia complessa viene mostrato dalle discussioni sull’ipotesi che l’omosessualità abbia una componente genetica. Se si rivelasse vero che una certa percentuale della popolazione umana ha predisposizioni omosessuali iscritte nei propri geni, che conclusioni potremmo trarne? I più tolleranti osserverebbero che questo fatto conferisce un aspetto più naturale all’omosessualità. Alcuni vi vedranno invece una patologia (una "devianza") che rende l’omosessuale un paziente da compatire e forse da assistere. Questa medicalizzazione delle scelte sessuali non regge a un serio scrutinio. Non ci sono ragioni mediche per difenderla, come non ci sono ragioni mediche per "curare" le persone con gli occhi azzurri (un carattere recessivo).

Se la natura non ci aiuta, le uniche ragioni per cercare di "circoscrivere" l’omosessualità sono culturali. Vediamone alcune.

Minacce per la società. Un approccio normativo confuso alla sfera sessuale prende il volo da considerazioni su ciò che è bene e ciò che è male per la società. (Di passaggio: capita spesso che gli argomenti naturalisti e quelli sociali vengano offerti in tandem persino da chi sostiene che la società si oppone alla natura! Malafede e corenza non sono necessariamente in buoni rapporti.) In che cosa consiste questo approccio? Vien detto che "la coppia eterosessuale è il fondamento della società umana", ovvero che, in soldoni, "la società non potrebbe perpetuarsi se tutti fossero omosessuali". Sarà vero? A rigor di logica, una società di donne omosessuali che procrea in modo assistito e di uomini omosessuali che adotta una parte dei pargoli così procreati è del tutto possibile. Ma non è questo il punto. Anche se per ipotesi la società traesse un qualche innegabile vantaggio dalla presenza di una percentuale elevata di coppie eterosessuali, in che modo si potrebbe convertire questo fatto in una norma? Per poter avere valore le norme devono anche essere ragionevolmente implementabili. Si dovrebbero dunque convicere (incoraggiare, obbligare) le coppie omosessuali esistenti a sciogliersi e rifondare coppie eterosessuali?

Incentivi e disincentivi. La via blanda seguita da molte società è finora consistita nell’offrire incentivi alle sole coppie eterosessuali: automaticamente questo dovrebbe produrre un disincentivo alla coppia omosessuale. Ma non è affatto chiara la logica di questo programma. Forse (se non si tratta semplicemente di una punizione morale senza alcun valore di deterrenza) si spera che una persona, attratta dai benefici che lo stato offre alla famiglia eterosessuale, abbandoni o reprima la propria omosessualità e si convinca a sposarsi e magari a procreare? La conseguenza più ovvia è invece che molte persone finiscono con il subire, per il semplice fatto di essere omosessuali, una discriminazione sociale. Questo ha un assai dubbio valore morale. Si noti che questa discriminazione si applica anche alle coppie caste, o alle convivenze tra amici senza alcuno sfondo sessuale. Claudio Magris in un articolo divertente sul Corriere di qualche mese fa aveva ironizzato sull’ossessione che porta a vedere in ogni convivenza, compresa quella breve dei viaggi d’affari, un fine sessuale.

Stupidità sociale. Il non riconoscimento sociale delle coppie non eterosessuali (comprese quelle caste, o le coppie di sorelle che decidono di condividere un appartamento) è non solo moralmente dubbio, ma è soprattutto una forma straordinaria di autolesionismo sociale. Come chiunque altro un omosessuale contribuisce alla vita sociale: lavora, crea, produce, consuma. Chiunque si trovi a lavorare (produrre, consumare) in una condizione di discriminazione o di umiliazione sociale rischia di non esprimere al meglio le proprie potenzialità (questo è naturalmente un eufemismo: l’omofobia ha fatto molte vittime vere). La società ha tutto da perdere e nulla da guadagnare dalla discriminazione di una percentuale consistente della propria popolazione.

Immoralità. Se non è natura e non è società, sarà forse una questione di morale? Il problema è che la morale si declina in molti modi – ogni individuo sembra avere la sua. Ed è difficile mettere tutti d’accordo. Problema complicato in Italia dall’autoproclamata autorità morale della Chiesa, che offrirebbe un punto di vista superiore sulle questioni morali. Ulteriormente complicato dal fatto che la Chiesa non offre particolari aperture verso il mondo omosessuale – senza validi argomenti, a mia conoscenza.

Chiesa, autorità morale e società. La posizione della Chiesa Cattolica è assai delicata ed è difficile non percepirla come tale. Da un lato la Chiesa asserisce che la famiglia (orientata alla riproduzione) è il fondamento della società – escludendo automaticamente dalla sfera sociale tutti coloro che una famiglia non l’hanno, o non vogliono averla. D’altro lato richiede agli ecclesiastici di non formare famiglie. Si tratta sicuramente di una svista logica: le ragioni addotte per criticare le scelte omosessuali esattamente quelle che si possono addurre contro il celibato. Bisogna scegliere, ma non basta. I due precetti presi insieme implicano che gli ecclesiastici non fanno parte della società. L’incoerenza, o nella migliore delle ipotesi l’autoesclusione sociale, rendono difficile riconoscere alla Chiesa una qualsiasi autorità morale sulle questioni sessuali.

Suscettibilissimi pellegrini. Al di là dei gravi problemi di fondo, sono state sollevate delle questioni di opportunità. La parata del World Gay Pride avrebbe offeso Roma (ma le città, se pur hanno un’anima, hanno forse una psicologia?). Oppure avrebbe urtato la sensibilità dei pellegrini. Un argomento di poco peso, anche perché non suffragato da statistiche precise, ma assai rivelatore. Mostra l’immagine che certa parte della classe politica si è fatta del "popolo". Lo vede come pellegrino ignorante, intollerante, incapace di distinguere, pronto a infuriarsi alla sola vista di una persona con preferenze sessuali diverse dalle proprie.

Sesso e logica. Ma in che modo si può mai venir urtati alla vista di qualcuno che ha preferenze sessuali diverse dalle proprie? Difficile capirlo. Le preferenze sessuali dei mariti sono diverse da quelle delle loro mogli – ai primi piace l’eterno femminino, alle seconde il profilo virile (scusate le categorie un po’ grossolane). Nessuno è urtato da queste differenze, anzi molti le trovano del tutto auspicabili.

Lo scarto tra il paese e la sua classe politica. In fondo le cose che ho scritto qui sopra mi sembrano di poco momento. A malapena usciamo dal buon senso. Un buon senso che mi è parso di ritrovare in molte discussioni con amici di destra e di sinistra, religiosi e atei, omosessuali ed eterosessuali. Quello che stupisce è come molti esponenti della classe politica prendano posizioni che sono nettamente meno misurate e tolleranti di quelle dei loro elettori. La strategia è quella del dire cose aggressive ed estreme, del prendere posizioni "morali" per farsi identificare come uomini di polso? È veramente una strategia pagante? Non sarebbe comunque meglio un dibattito pacato, sostenuto da qualche argomento? Come i pellegrini, gli elettori vengono considerati incapaci di intendere e di volere, pronti solo a reagire a parole d’ordine.

"Purtroppo c’è la costituzione". La frase imperitura pronunciata dal Presidente del Consiglio era in realtà una sfumata ironia (così ha dichiarato in seguito Amato). Ironia o gaffe, è sicuramente un titolo azzecato per un manuale di educazione civica. Altri libri istruttivi potrebbero recare titoli simili: "Purtroppo ci sono le leggi", "Purtroppo c’è il Codice della Strada", "Purtroppo c’è la buona educazione", "Purtroppo c’è la logica". "Purtroppo" è la parola che si dovrebbe sbandierare ogniqualvolta qualcuno cercasse di imporre il proprio punto di vista al suo prossimo con armi o atteggiamenti che mostrano come il prossimo in questione sia ritenuto incapace di pensiero e scelte autonome. Purtroppo c’è quel meraviglioso intreccio di convenzioni e regole che proteggono la libertà di ciascuno. Più che astratti principi legati a un’inesistente natura o a sciocchi precetti nati dalle antipatie per una sessualità che non si condivide, questo intreccio costituisce il tessuto stesso della società e della cultura.

Coming out. Dato che le scelte sessuali sono cosa privata, la battaglia per una tranquilla integrazione degli omosessuali nel tessuto sociale è in realtà una battaglia per i diritti di tutti ad avere gusti e preferenze e a fare scelte che nessuna autoproclamata autorità possa sindacare. È una battaglia esemplare, che riguarda veramente tutti: omosessuali, eterosessuali, bisessuali, e persone votate alla castità.