0008Orsay

Roberto Casati

(Agosto 2000)

Dans le champs des étoiles, Parigi, Museo d’Orsay, fino al 24 settembre.

Nel diario di Eugene Delacroix si legge, in data 13 agosto 1850: "...a Cambridge hanno fatto degli esperimenti fotografici per fissare il sole, la luna e addirittura le immagini delle stelle. Si è ottenuta un’impressione della stella Alfa della Lira grande come la capocchia di uno spillo. La corrispondenza che descrive questo risultato aggiunge un’osservazione tanto giusta quanto curiosa: dato che la luce della stella catturata dal dagherrotipo ci mette vent’anni ad attraversare lo spazio che la separa dalla terra, ne segue che il raggio che è giunto a fissarsi sulla lastra aveva lasciato la sua sfera celeste molto prima che Daguerre avesse scoperto il procedimento che ci ha permesso di catturare quel raggio".

Il pittore si rende conto di come la fotografia del cielo rimetta in discussione uno dei dogmi filosofici che riguardano la percezione. La vista parrebbe il senso della simultaneità per eccellenza. Le relazioni tra le parti di un’immagine visiva, ed eventualmente tra le parti della registrazione fotografica di una scena, sono relazioni di destra e sinistra o sopra e sotto, non di prima e dopo. Ma alla scala astronomica la fotografia, come la visione, si limita a registrare il punto finale della traiettoria dei raggi luminosi che hanno origine a distanze diverse e quindi in momenti diversi. Una foto del cielo è una registrazione di effetti simultanei, ma è una rappresentazione di cause distribuite nel tempo. Il che ha suscitato una questione molto filosofica che generalizza quella di Delacroix. Può capitare che una stella lontana si sia spenta, ma che la luce che aveva inviato prima di estinguersi sia tuttora in viaggio alla nostra volta. Quando vediamo questa luce o la registriamo su una lastra, possiamo dire di star vedendo la stella o di averla fotografata? Possiamo vedere qualcosa che non esiste più? È forse come guardare la foto di un personaggio defunto?

Alle origini della fotografia il tempo è stato un problema tecnico prima che filosofico. Le pose estenuanti hanno impedito a lungo di ottenere immagini in esterni: di giorno le ombre ruotano inesorabili intorno alle cose e devono essere evitate, di notte le stelle ruotano intorno alla stella Polare e devono essere inseguite. Ma presto la fotografia permette di realizzare qualche importante scoperta astronomica. Il primo successo spettacolare riguarda le protuberanze visibili durante un’eclisse totale di sole. Sono fenomeni solari o lunari? La domanda oggi sembra strana quanto l’idea che la luna abbia un’atmosfera. Era comunque d’attualità a metà dell’Ottocento, e la risposta venne dal confronto delle foto dell’eclisse del 18 luglio 1860 prese in Spagna da Warren de la Rue e dal gesuita Angelo Secchi a quattrocento chilometri di distanza. Secchi scrive: "Abbiamo trovato un’identità perfetta nei dettagli più delicati... le protuberanze non sono delle mere apparenze...", e conclude che le differenze tra le immagini sono dovute alla parallasse in modo tale da poter dimostrare che le protuberanze sono un fenomeno solare. La consacrazione della fotografia astronomica avrebbe dovuto avvenire nel 1874 durante il rarissimo passaggio di Venere davanti al sole - vennero organizzate più di sessanta spedizioni per documentarlo - ma la povertà dei risultati, in particolare l’effetto "goccia" che fa smarginare l’immagine di Venere in quella del sole nella foto, convinse gli astronomi a ritornare alle osservazioni tradizionali per il passaggio del 1882.

E in effetti la foto astronomica fin de siècle sembra voler non tanto supplire all’osservazione scientifica quanto aiutare l’immaginazione popolare e la persuasione. Le foto lunari incredibilmente realistiche fatte da James Nasmyth nel 1874 sono in realtà immagini di un plastico realizzato in studio. In certe immagini i crateri della luna vengono ritoccati con sbuffi di fumo per provarne la natura vulcanica (sono in realtà crateri d’impatto meteoritico). Lo scetticismo degli astronomi venne manifestato in maniera eloquente dal berlinese Johann Heinrich Madler: "la fotografia non ci insegnerà nulla sugli astri che non si possa studiare facilmente già con i grandi telescopi". La risposta, sottilmente ironica, giunse dal principe dei divulgatori, Camille Flammarion, che nel 1898 chiederà ai lettori del Bulletin de la société astronomique de France di disegnare la luna, o di ridisegnarne le fotografie finora pubblicate. Il risultato è un interessante test di Rorschach astronomico, che mostra la forza degli stereotipi: i lettori vedranno nella luna amanti che si baciano, canguri, e l’immancabile omino che porta una bisaccia.

Se la mente aiuta l’occhio e falsa la percezione, è anche vero che l’occhio ha bisogno di aiuto, e la fotografia astronomica lo rimpiazzerà definitivamente dal momento in cui diventerà sensibile alle radiazioni invisibili ad occhio nudo. Restano le questioni filosofiche. Il problema dell’affidabilità della visione attraverso uno strumento o della visione differita riporta alla questione della natura di tale visione. E in effetti, si tratta ancora di visione? Vediamo veramente attraverso i telescopi? Vediamo veramente le stelle lontane, o quelle già da tempo immemore scomparse dalla carta del cielo? E che valore hanno dunque una carta del cielo o uno sguardo che ne registrano le vestigia luminose? Sono problemi che nascono da una limitazione fondamentale del concetto di visione, sviluppatosi per funzionare in situazioni ecologiche in cui la variazione temporale non conta più di tanto. A volte siamo sorpresi già in situazioni che non comportano grandi distanze, per esempio quando cerchiamo nel cielo con lo sguardo un aereo di cui abbiamo sentito il rumore e lo troviamo fuori posto. Non è però detto che raffinare il concetto di visione includendovi la conoscenza delle diverse velocità del suono e della luce sia di grande aiuto. Nelle risposte ai questionari che accertano le competenze di fisica dei nuovi iscritti in alcune università americane si è constatato che molti studenti, conoscendo la differenza tra le due velocità, trovano sorprendente il fatto che nella televisione suono e immagine sono perfettamente sincronizzati.