1997PaintingByNumbers

Roberto Casati

Recensione di Painting by Numbers di Komar & Melamid

Federico Zeri, uno dei massimi esperti d’arte, trova inopportune le visite di bambini e adolescenti ai musei. In un’intervista a Repubblica del 23 gennaio (in cui commenta lo sfregio, attribuito a dei giovani visitatori, di alcune tele di Matisse esposte a Roma) Zeri si spiega nel modo seguente : « Già gli adulti non capiscono nulla di arte, figuriamoci i ragazzini... E’ da incoscienti portare delle scolaresche ad ammirare un artista difficilissimo… i ragazzini fanno danni tremendi lì dentro, accompagnati poi da maestre ignoranti che di pittura non capiscono nulla e non sono certo in grado di indirizzare i loro allievi all’arte ». Le visite delle scolaresche, insomma, tradirebbero un equivoco demagogico e educativo. Più in generale l’intervento di Zeri coinvolge il problema delle competenze richieste a chi visita un museo e contempla un’opera d’arte.

È un problema complesso che chiama in causa il contenuto delle opere d’arte, il significato che esse hanno per chi le osserva, il ruolo dell’artista nella società, e che tocca anche questioni sottili per quanto più ampie sulla democrazia, l’importanza degli esperti, l’educazione.

Un tentativo irriverente di dar corpo al problema viene dal lavoro di due artisti ex-sovietici trapiantati negli Stati Uniti, Vitaly Komar e Alexander Melamid, ed è illustrato nel libro a cura di JoAnn Wypijewski « Painting by Numbers : Komar and Melamid’s Scientific Guide to Art » (Farrar, Straus and Giroux, New York. Il sito http//:www.diacenter.org/km espone alcune delle opere e ospita vari interventi teorici dei due artisti).

Il tentativo è irriverente e al contempo serio e molto articolato. Avendo lavorato in un paese socialista in cui l’arte ufficiale era legittimata come arte del popolo ma in cui si evitava accuratamente di chiedere al popolo che cosa ne pensasse, Komar e Melamid hanno trovato naturale cercare di dipingere a partire dalle preferenze del pubblico.

Ora, l’unico modo di rappresentare adeguatamente queste preferenze consiste nel sondare l’opinione. Dapprima quella degli Stati Uniti, e poi di un gruppo di quindici paesi che include l’Italia, la Germania, la Francia, la Cina e l’Olanda. Svariati istituti di ricerca hanno così proposto un repertorio di domande come : in un quadro, qual è il vostro colore preferito ? Preferite uno stile moderno o tradizionale ? Animali selvatici o domestici ? Autunno o primavera ? Oggetti reali od oggetti immaginari ? Strutture geometriche o distribuzioni casuali ? Personaggi famosi o comuni ? Dei tempi andati o contemporanei ? Nudi o vestiti ? Preferite figurazione o astrazione ? L’arte deve insegnare o piacere ? - e via dicendo.

Come in tutti i sondaggi, le preferenze sono espresse da percentuali ; Komar e Melamid hanno concepito dei quadri fedeli ai numeri, facendo notare come già la statuaria greca avesse introdotto un canone di bellezza dato dalla media delle misure di persone reali. I loro quadri sono dipinti seguendo una semplice norma. Se per esempio il 30% del campione preferisce il rosa come colore in un dipinto, il quadro avrà un 30% di superficie rosa.

Se si integrano le risposte a tutte le domande del questionario i risultati pittorici, esilaranti, danno da pensare. Il quadro che sintetizza le preferenze artistiche degli italiani (sondaggio effettuato nell’aprile 1997 da Research International) è un paesaggio marino o lacustre molto blu e verde (i due colori preferiti nella penisola), è figurativo ma con ampi colpi di pennello, è inquadrato da una staccionata verde su cui sono appoggiate strane sfere riflettenti in equilibrio precario. Su uno sfondo simile, ma più tranquillo, il 50% degli statunitensi amerebbe vedere persone comuni e il restante 50% un qualche personaggio famoso, per cui troviamo, accanto a una famiglia in vacanza, uno spaesato Giorgio Washington. Il quadro che riflette le avversioni degli italiani mostra, su una pavimentazione a scacchi, una statua classicheggiante sullo sfondo di un personaggio Manga e di un ritratto di Elvis.

È abbastanza facile concordare con l’avversione, ma che dire del quadro che la media degli italiani desidererebbe ? La fallacia statistica lascia il posto alla provocazione. Dal fatto che un quadro rappresenta le preferenze medie di un campione di popolazione non segue che un membro del campione possa dirsi soddisfatto del quadro (se esattamente metà del campione ama modelli barbuti e l’altra metà ama modelli glabri, nessuno nel campione sarà soddisfatto vedendo ritratto un modello mal rasato). E tuttavia canonizzare le preferenze estetiche non significa accettare una concezione soggettivistica del bello (stando alla quale sarebbe bello ciò che piace). Molto probabilmente la maggioranza degli italiani non amerà il quadro dipinto da Komar e Melamid per loro. Ma non era questo lo scopo dell’esperimento ; non si trattava di dipingere il quadro più amato dagli italiani ma il quadro che rappresenta le preferenze pittoriche degli italiani. Il canone estetico può - paradossalmente - dettare risultati che non sono riconosciuti come belli. Si può certo obiettare che un’indagine come quella di Komar e Melamid applicata ai critici d’arte porterebbe a quadri migliori, ma in realtà basta una leggera discordanza nelle risposte per far degenerare velocemente il prodotto finito : se un critico preferisce scomposizioni cubiste e un altro incarnati rubensiani la sintesi dovrà tenerne conto.

Pur essendo pittori d’élite Komar e Melamid continuano a credere in un’arte popolare e certamente intendono denunciare l’equivoco populista che si annida dei sondaggi. Al tempo stesso riconoscono che i sondaggi sono l’unico mezzo che hanno coloro che non appartengono alle élite decisionali e culturali di farsi sentire da queste élite. E non pensano affatto che se il sondaggio è l’unico modo di far emergere un « parere » artistico popolare ciò dipende dal fatto che ciascun individuo, preso singolarmente, non avrebbe le competenze necessarie per capire e ammirare l’arte.

Indipendentemente dal fatto che per molte persone che non si dichiarerebbero conoscitori l’arte conta come una cosa importante, una parte della vita, sembra strano pensare che il pubblico non abbia voce in capitolo, e che ogni decisione - o addirittura ogni autentica fruizione - artistica debba essere lasciata ai critici e agli esperti. Sembra strano perché, con le parole di Melamid, « siamo circondati dall’arte. Oggi ognuno di noi sa abbastanza di arte e può permettersi di giudicare da solo ».