97Kristeva
Roberto Casati
(1997)
Del perdere la testa
Inaugurata il 30 aprile si terrà al Louvre fino al 27 luglio la mostra Visioni Capitali. Il soggetto è molto particolare, trattandosi delle molte varianti della rappresentazione di una testa senza corpo, dalla decapitazione del Battista passando per il velo della Veronica fino a certe sventurate vittime del Terrore; di per sé la scelta del tema e il suo svolgimento iconografico richiederebbero un’analisi più approfondita di quella che si può offrire in queste poche linee. Il particolare contesto in cui si situa la mostra e le dichiarazioni dei curatori trascendono tuttavia ampiamente il tema e meritano, credo, alcune parole di commento.
La mostra fa parte della serie dei cosiddetti ‘Partiti presi’ del Louvre. La formula è interessante: dare a personaggi di spicco del mondo culturale, ma estranei alla storia dell’arte intesa nel senso tradizionale, la curatela di una mostra su un soggetto di loro scelta. (La precedente edizione aveva visto all’opera il regista Peter Greenaway.) Il Louvre è un’istituzione straordinaria per molte ragioni, e la larghezza di vedute dei suoi dirigenti non può che riempirci di ammirazione. Una delle intuizioni che mi sembrano del tutto condivisibili è che si debba fare uno sforzo istituzionale per restituire l’arte alla disciplina scientifica che ha più diritti su di essa, ovvero l’antropologia. Il catalogo, dalla grafica impeccabile e ricco di ottime fotografie, fa onore alle edizioni della Réunion des Musées Nationaux (solo il doppio sistema di numerazione delle immagini è un po’ complicato).
Ciò detto, anche i migliori musei possono prendere un abbaglio, il che rischia purtroppo di non rendere un servizio ai visitatori. La curatrice invitata di quest’anno è la semiologa, psicanalista, scrittrice e saggista Julia Kristeva, che continua, nelle intenzioni di Régis Michel, organizzatore dell’iniziativa, la tradizione dei Partiti Presi di invitare un esponente del pensiero neo o post-strutturalista o, per dirla in breve, del pensiero francese.
Una lettura approfondita del volume che accompagna la mostra rivela ben presto quanto sia difficile raccogliere in un unico paniere tutte quelle povere teste senza corpo. I diversi capitoli dell’opera raccontano varie storie, in parte basate su dati storici e antropologici, sul culto del cranio, sull’iconologia di Medusa, sul Volto Santo, su San Giovanni e altri decollati celebri quali Oloferne, sulla ghigliottina e i fantasmi da essa evocati. Sorvoliamo, da lettori indulgenti, sul tono un tantino pedagogico ("Credevate di conoscere queste immagini?… Guardatele di nuovo, nell’economia dei disegni che avete imparato a leggere osservando le opere grafiche qui raccolte…", p. 100). Sono le storie congetturali, i tentativi di leggere dietro le immagini certe intenzioni - secondo una pratica inaugurata dalla lettura freudiana di Michelangelo - che destano non poche perplessità. Per esempio, la testa di Medusa, viscida e incoronata da serpenti, sarebbe un’immagine del sesso femminile, da tagliare per proteggersene (pp. 35 e 37). Si unisca a ciò l’ipotesi (data per verificata) del fatto che l’"identità arcaica del bambino" dipende dalla "prova dello specchio": davvero non si potrà che concludere che il "Perseo di Benvenuto Cellini… ci fa vedere che nello stagno di questo specchio abitano il trionfo sulla madre - forse che l’eroe non possiede la rappresentazione del di lei viso e della testa come se fossero le proprie - e al contempo il confronto infinito con l’angoscia di castrazione" (p.41)? Questa prosa non esattamente trasparente ripete all’infinito una serie di ritornelli nella norma abbastanza prevedibili. Le teste tagliate sono simboli di qualcosa d’altro, il taglio della testa è una variante della castrazione, ecc. Altre tesi, certo, sono un po’ meno prevedibili. Come l’idea che lo studio di Andrea Solario per la testa di San Giovanni Battista, per quanto molto bello, rappresenti "il nodo inaugurale della figurazione moderna" (p.71), o che, "castration oblige", avvicinandosi ai tempi moderni la decapitazione prende di mira sempre di più gli uomini che le donne (p. 93), o ancora che le pratiche di decollazione dei nostri antenati presentano il vantaggio, rispetto alle moderne atrocità integraliste, di prolungarsi nell’arte (la decorazione dei crani) offrendo una meditazione sulla precarietà della condizione umana (p. 33).
Insomma, la ricetta è semplice: si tratta di un ennesimo, estetizzante tentativo di spaventare il borghese. Ma si tratta anche di una ricetta vecchia e non stupisce il bisogno di difenderla a priori contro ogni critica in atto o a venire. Questo è l’elemento più interessante della mostra e del suo catalogo: l’incredibile dispendio di energie devolute alla profilassi nei confronti di potenziali detrattori. L’obiettivo principale è naturalmente l’ignobile Sokal, rappresentante designato del bieco positivismo che mai cessa di reincarnarsi, il quale ha dedicato a Kristeva alcune pagine ormai celebri dell’opera (scritta con Bricmont) "Impostures intellectuelles". Quando si tacciano i propri critici di "oscurantismo" e di "reazione", come fa Régis Michel nell’Introduzione alle Visioni Capitali, quando ci si considera vittime di un complotto poujadista che mira a reprimere non solo la tutto sommato abbastanza marginale Kristeva, ma, pare, anche la psicanalisi e l’arte contemporanea, è segno indubitabile che si è perso il senso della misura e che si immagina che solo il proprio orto culturale possa soddisfare tutti gli appetiti. Rispondendo a Sokal sul Nouvel Observateur, del 25 settembre 1997 la stessa Kristeva non aveva esitato a parlare di una tendenza "francofoba" (e aveva fatto asserzioni scandalosamente ambigue, come "nel 1996 non si voleva Freud alla Library of Congress di Washington", suggerendo un improbabile rogo di libri quando si trattava invece del fatto che non si era accettata una mostra su Freud senza contraltare critico).
Per scendere al di sotto delle apparenze e capire su cosa vertono realmente questi dibattiti, si osserverà che il ‘pensiero francese’, con buona pace dei suoi esponenti, non rappresenta un territorio dello spirito quanto piuttosto una categoria commerciale. Ma per quale mercato? Ebbene, nonostante conti tra le sue fila svariati detrattori della mondializzazione e moralisti pronti allo strale contro una fantomatica industria culturale posta sotto l’egida del dollaro, il pensiero francese esiste come categoria merceologica solo negli Stati Uniti. E ciò a dispetto di sforzi notevoli di reimportarlo in Europa, tra i quali va annoverata anche la mostra qui presa in esame. Lo stesso Régis Michel, nell’Introduzione al catalogo, lamenta la scarsa incidenza dei Partiti Presi del Louvre nel dibattito culturale francese, e non può fare a meno di riconoscere che il ‘French thought’ (parole sue) gode di assai migliore salute oltreoceano. Sokal crea le premesse per un’erosione di questa lucrativa nicchia editoriale americana, ed è normale che rappresenti la prima testa da tagliare.
Che poi si ci si trovi di fronte - nel caso della mostra e del catalogo - a un’operazione pubblicitaria in grande stile viene neanche tanto velatamente mostrato dall’abbondante materiale autopromozionale inserito da Kristeva, in particolare i riferimenti autobiografici e gli estratti da un suo recente romanzo.
Un pensiero che richiede tanti e tali sforzi di marketing, che mobilita come per una causa nazionale vaste risorse di denaro pubblico, che chiama alle armi utilizzando slogan protezionistici e liberticidi, un siffatto pensiero è sicuramente giunto alla fine della sua vita utile.