22.12.1997

Roberto Casati

Nomi

 

"Il 10 novembre, a Torino, i coniugi Daniela Capra e Guillermo Carrascon

Garrido hanno un bambino. Grande felicità. Decidono di chiamarlo

Alberto. Si recano all'anagrafe, dove si sentono dire da un impiegato:

"Congratulazioni, vostro figlio si chiama Alberto Carrascon Garrido".

"No - risponde il padre Guillermo - si chiama Alberto Carrascon Capra.

Così si usa da noi in Spagna, dove i figli prendono il cognome sia dal

padre sia dalla madre". "Mi dispiace signore, ma proprio qui non si può

fare".

Risultato: poiché, come i genitori, Alberto ha la doppia nazionalità si

chiamerà in due modi diversi a seconda di dove si trovi: Alberto

Carrascon Garrido in Italia (cosa per uno spagnolo assurda e scandalosa)

e Alberto Carrascon Capra in Spagna".

 

 

Da tempo siamo assillati da questo problema squisitamente filosofico: come trasmettere e con che diritti/doveri ricevere il proprio cognome? Si può decidere arbitrariamente di chiamarsi come la propria madre o addirittura di chiamarsi come a uno pare? A quali principi deve ispirarsi il legislatore nel mettere ordine in questa materia?

Se il problema è soltanto quello di identificarmi e distinguermi dagli altri a fini anagrafico-amministrativi, perché non lasciate che, una volta raggiunta la maggiore età, io mi ribattezzi Zoom Cadillac, come sogno di fare sin dalla più tenera infanzia? Perché no, in fondo? Non credo che siano in molti ad aver avuto la stessa idea. E se qualcun altro ci ha già pensato, vediamo chi arriva primo a farsi registrare all'anagrafe, oppure mettiamo il nome all'asta, oppure mettiamo il numero di serie, Zoom Cadillac Uno, Due, Tre, Mille, ecc. Dopotutto, il nome a metà scelto per noi e a metà involontariamente trasmessoci dai nostri genitori può risultare un assai peggiore problema anagrafico e amministrativo, come ben sanno i trecento Paolo Rossi cui ogni settimana si chiede di mostrare la patente o che firmano un assegno davanti al commesso che si crede infallibile quando si tratta di smascherare un mitomane. (La leggenda attribuisce al comico Paolo Rossi lo scambio seguente. Controllo della patente: "Ah lei si chiama Paolo Rossi. E' forse il fratello del calciatore?" Risposta: "Sì, vede, in famiglia ci chiamiamo tutti Paolo Rossi".)

Il problema vero, naturalmente, è quello del sangue, i cui rivoli si disperdono fin troppo velocemente, per via di figli scapoli o peggio ancora di figlie prolifiche ma prive ahimé dell'etichetta della casa. Forse è solo un’ossessione latina e forse possiamo scorgere in filigrana un certo interesse filosofico-semantico: il cognome di una persona non si limita a permettere di individuarla (‘Zoom Cadillac’ basterebbe), ma contiene anche un’informazione riguardo all’origine della persona. In particolare, permette di leggervi l’ascendenza paterna. Il cognome si fa carico di due ruoli: un ruolo pragmatico e legale (individuare chi possiede il nome) e un ruolo informativo (dire da chi discende), e anche se il primo ruolo fa a volte leva sul secondo, non lo presuppone logicamente. E se il problema è veramente quello di lasciare una traccia di noi nel nostro nome, una traccia cui potrà risalire chi tra diciassette generazioni vorrà mostrare il proprio citofono agli amici con una punta d'orgoglio, perché pensare che questa esigenza non sia egualmente condivisa da uomini e donne? Perché vostra figlia potrà risalire senza fatica al suo trisavolo, e non saprà nulla della madre di sua nonna?

Vorrei qui analizzare una soluzione di compromesso.

(1) L’ufficiale anagrafico attribuisca a ciascuno due cognomi, uno per parte di padre, e uno per parte di madre. I figli Antonio e Paola della signora Gatto e del signor Neri si chiameranno entrambi Gatto-Neri (la scelta di quest'ordine è arbitraria per il legislatore - anche Neri-Gatto va bene - ma una volta effettuata dev'essere rispettata da tutti). (2) Tuttavia - ed è questo il punto qualificante - si permetta a Antonio, il figlio maschio, di trasmettere alla discendenza solo la parte maschile del suo cognome, e a Paola, la figlia femmina, solo la parte femminile. Questo eviterà di avere cognomi lunghi mezza pagina (a ogni generazione si ricomincia da due) e permetterà alle madri di trasmettere il proprio nome alle figlie e alle nipoti, esattamente come oggi i padri lo trasmettono ai propri figli e nipoti (maschi).

Se per esempio Paola Gatto-Neri (figlia di una Gatto e di un Neri) sposa Gianni Orsi-Rossi (figlio di uno dei Paolo Rossi di cui sopra), i loro figli, quale che sia il loro sesso, si chiameranno Gatto-Rossi.

Il vantaggio? Il cognome, così composto, funziona come un sistema di coordinate: madri in ascissa, padri in ordinata. Da uno sguardo al biglietto da visita si può immediatamente "leggere" che tutte le ascendenti in linea materna (la madre, la nonna materna, la madre di questa, ecc.) dei Gatto-Rossi sono o erano delle signore Gatto, e che tutti gli ascendenti in linea paterna (il padre, il nonno paterno ecc.) sono o erano dei signori Rossi.

Alcune situazioni strane potranno poi venir discusse caso per caso (per esempio, potrebbero saltar fuori molti nomi un po' noiosi, come Gatto-Gatto, in certe valli recondite delle Alpi), ma la forza della proposta non dovrebbe venirne toccata (un Gatto-Gatto ha ascendenti paterni che sono Gatto, e ascendenti materne che sono Gatto pure loro).

Lo ripeto: questa proposta rappresenta un optimum solo nel caso in cui si accetti il presupposto che il cognome deve informare e conservare una traccia dell'origine di un individuo. Accettato il presupposto, ogni altra distribuzione onomastica è inevitabilmente asimmetrica, privilegiando mamma o papà.

Ma forse ci sono buone ragioni per rigettare il presupposto (e tra famiglie monoparentali, adozioni, famiglie omosessuali e famiglie ricomposte a partire da genitori divorziati il legislatore ha solo l'imbarazzo della scelta).

E va notato che se l’identificazione di un individuo deve essere legata in maniera indissolubile all’ascendenza, sembra ragionevole non registrarla nel cognome. I cognomi sono troppo corti per contenere tale informazione, e allungarli a dismisura li rende difficili da utilizzare nelle circostanze della vita quotidiana. Si può certo immaginare un qualche modo di aggirare la difficoltà. Per esempio, la coppia nome-cognome potrebbe svincolarsi dalla funzione di informare sull’ascendenza (ed essere soggetta all’arbitrio) e la carta di identità potrebbe contenere una versione estesa dell’albero genealogico della persona. Questa soluzione salverebbe la libertà di scelta e nella fattispecie la mia e quella dei miei mille fratelli (di elezione, non di sangue) Zoom Cadillac.