98gallina

Roberto Casati

Il riso della gallina maculata

 

Gli storici sono la memoria dell'umanità e dal loro privilegiato punto di vista possono correggere quelle distorsioni prospettiche che affliggono chi non conosce le fonti o non può accedervi direttamente. La storia fa giustizia della mitologia; un po' come la scienza, ma con altre armi. E gli storici della filosofia potrebbero facilmente raddrizzare svariati scorci e storture mitiche che affliggono l'immagine della filosofia contemporanea. Chiunque abbia cercato di capire che cosa viene propriamente messo sotto accusa quando si vede un indice puntato contro la filosofia cosiddetta "analitica" avrà per esempio rimpianto l'assenza dal dibattito di storici capaci di descrivere le origini germanofone della suddetta, e di ridimensionare il mito aberrante della sua identificazione con la filosofia "anglofona".

Nella sua recensione della riedizione del Dizionario di Filosofia di Abbagnano (Il Sole, 28 Marzo) Paolo Rossi, della cui vocazione enciclopedica testimonia la bella opera La Filosofia (UTET, 1996), mostra tuttavia che dobbiamo dubitare della lucidità degli storici nell'analizzare i loro contemporanei. La recensione è ritmata da un lungo interludio comparativo in cui si mostrano certe pecche del Cambridge Dictionary of Philosophy, a cura di Robert Audi, che viene preso ad esempio della miseria dell'epistemologia anglosassone. Per sgombrare il campo dagli equivoci: non intendo difendere il Dictionary in generale. Come in ogni dizionario, ci sono svariate lacune e semplificazioni intollerabili. Ma il modo in cui Rossi lo critica, e usa la sua critica come punto d'appoggio per un discorso più generale sulla pratica della filosofia, mi sembra s'inserisca nel filone delle facili generalizzazioni, e richiama un commento.

Per entrare subito nella materia, si consideri quanto Rossi dice dopo aver lamentato l'assenza di voci quali apocalisse, ciclo, magia, e soprattutto filosofia: "La presenza di una voce sul problema della gallina macchiettata (problem of the speckled hen), al quale viene dedicato lo stesso numero di righe che a Giovanni Gentile, non basta, credo, a consolarci di tutte queste assenze".

Direi che qui stiamo facendo dell'ironia facile, che purtroppo non rende giustizia al bel problema della gallina maculata, o macchiettata che dir si voglia. Nonostante l'appellativo invero modesto si tratta di uno scoglio per le teorie della percezione indiretta, teorie che costituiscono l'ideologia dominante della psicologia della percezione contemporanea. Secondo tali teorie per percepire un oggetto fisico bisogna avere una relazione diretta con un oggetto mentale che lo rappresenta (un dato sensoriale, una rappresentazione, un'immagine). Supponente ora di incontrare una gallina maculata, e di vedere che è maculata. Il vostro dato sensoriale ha né più né meno lo stesso numero di macchie della gallina (visibili dal vostro punto di osservazione). Ma non c'è un numero determinato di macchie che a voi sembra di vedere. Vi sembra di vedere molte macchie, ma non, diciamo, trentasette. Se avete una relazione speciale e diretta con il vostro dato sensoriale come potete non accorgervi che sono proprio trentasette? Quindi c'è qualcosa che non va con l'idea che avete una relazione speciale e diretta con il vostro dato sensoriale, con l'immagine mentale.

Il problema, in una variante che fa salire alla ribalta a volte una tigre e a volte una zebra, si rivela difficile anche per tutte le teorie che cercano di assimilare l'immaginazione alla percezione. Provate a immaginarvi una zebra. Adesso dite il numero delle strisce. Difficile, nevvero? Quando invece nelle vostre peregrinazioni filosofiche vi capita di incontrare una zebra in carne ed ossa, osservandola bene potrete contarne le strisce - anche se un po' a fatica. Questo prova che anche se immaginare un oggetto è simile a vederlo, ci sono delle differenze importanti. Una di queste è che l'osservazione non è così facilmente disponibile come nel caso della visione.

Il problema della gallina maculata è un problema metafisico, e non di teoria della conoscenza. Riguarda la natura della percezione. E tanti altri problemi metafisici vengono discussi nel Dictionary. Ora, Rossi individua la fonte dell'insufficienza di quest'opera nell' "arroccamento dei filosofi entro una angusta e inaccettabile identificazione della filosofia con il problema della conoscenza". Questa non è che la prima di una serie di strane generalizzazioni, e apparirà ingiustificata a chiunque faccia scorrere l'elenco delle voci. Il Dictionary non ha voci indipendenti per concetto, credenza e conoscenza: proprio non si vede la sua parzialità nei confronti della teoria della conoscenza.

La seconda generalizzazione estende le responsabilità del curatore (mai menzionato da Rossi) del Dictionary (Robert Audi) a quelle dei "filosofi analitici di Cambridge". Si tratta di un equivoco. L'enciclopedia è edita da Cambridge University Press ma non rappresenta una fantomatica comunità dei filosofi analitici di Cambridge (basta scorrere la lista degli autori, più di trecento, di cui soltanto xxx lavorano a Cambridge).

La terza generalizzazione è stravagante, in quanto fa del Dictionary addirittura il rappresentante di tutta una corrente filosofica; le lacune del primo sarebbero quindi altrettanti sintomi dei mali della seconda. Non mi soffermo troppo su questo argomento in quanto la sua struttura mi sembra proprio carente. È la tesi che viene contrabbandata che mi sembra di per sé degna di attenzione. I filosofi che si ritengono seri, analitici e scientifici avrebbero "costruito alte mura" intorno al proprio "specifico" e non si renderebbero conto che "al di fuori di quelle mura sta sempre accadendo qualcosa di rilevante anche per le filosofia". Questo mi sembra inaccettabile. Basta scorrere la letteratura recente in filosofia del linguaggio, in filosofia morale, in filosofia della scienza (in particolare della fisica contemporanea), le analisi sulle scienze sociali e sull'antropologia, basta uscire dal cliché del "positivismo logico" per trovare strano che si possa scrivere che i filosofi criticati da Rossi non fanno che leggersi "freneticamente a vicenda" senza prestare attenzione a quanto succede intorno a loro. In modo inadeguato, lo ripeto, Rossi utilizza il Dictionary per sostenere che, in fondo, i filosofi anglofoni o anglofili razzolano nel cortile della filosofia.

E con questo possiamo tornare alla povera gallina, mossi dal desiderio di nobilitarla, forse sull'onda di certe nostre letture sulla liberazione animale.

(Il Dictionary non la nobilita poi neanche tanto. La gallina maculata occupa nel Dictionary lo stesso numero di righe dedicate a Giovanni Gentile.)

Uno storico della filosofia avvertito come Paolo Rossi avrà avuto modo di notare che la gallina maculata gode di ottima compagnia nella storia della filosofia. Molti temi elevati sono stati associati fin sul nascere a oggetti banausici e indegni di menzione. Si pensi agli strali ironici che potrebbero facilmente colpire il problema delle ombre nella spelonca, il problema di cercare di bagnarsi due volte nello stesso fiume, il problema di Achille che rincorre la tartaruga, il problema del genio maligno che vi impedisce di far quadrare i calcoli. Oppure ancora si pensi alla vulnerabilità di cose dall'aria insulsa, quasi da nouveau roman, quali la nave di Teseo, il rasoio di Occam, la macchina di Turing, la mela di Newton, la ghiandola pineale di Cartesio, il ciabattino di Locke, la statua di Condillac. (Avendo scritto un libro sui buchi, potrei avere qualche motivo di preoccupazione.)

 

 

(Paolo rossi ha risposto a questa critica in un successivo articolo, e più approfonditamente nel suo Un altro presente, il Mulino, 1999)