loghino.gif (3272 byte) ombraban.gif (478 byte)



testata quotidiano

europa

mondo

italia - politica

italia - economia

finanza & mercati

testata norme

norme e tributi

i mercati italia sab

testata risparmio

risparmio famiglia

risp fam/lo sportello

testata domenica

cultura societad

lettured

cultura d'intornid

scienza filosofiad

religioni societa d

archeologiad

artescambiod

arted

beni culturalid

nauticad

personaggid

in scenad

musicad

tempi modernid

tempo liberatod



1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 17 18 19 20 21 23 25 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47



Domenica 20 Febbraio 2000 scienza_filosofiad
Perché astronomia, matematica e geografia si sono sviluppate grazie a questa oscura compagna La prospettiva dell’ombra

diArmando

Massarenti

Il sole ha un’immagine immacolata del mondo perché «non ha mai visto l’ombra», scrive Goethe nel Faust. «Sarà anche immacolata, ma è sicuramente piatta», ribatte Roberto Casati in questo suo excursus su La scoperta dell’ombra. Egualmente piatte sono le stanze e i volti delle foto scattate col flash, o le immagini cui sono state cancellate le ombre. Il nostro sistema visivo sarebbe a disagio in un mondo senza chiaroscuri. Vedrebbe un mondo strano. E altrettanto strano sarebbe essere condannati a vedere solo ombre, come capita agli uomini incatenati nella famosa caverna di Platone.

Una volta Galileo («in quello che forse è il primo esperimento di scienze cognitive») propose di annerire le parti in ombra di una statua per eliminare il chiaroscuro. Lo scopo era dimostrare la superiorità della pittura sulla scultura. Non basta avere un bel volume per sembrare un oggetto che ha un bel volume: bisogna anche fare l’impressione giusta, e la pittura offre maggiori possibilità. Una storia per nulla secondaria, tra le tante che si intrecciano in questo libro, è appunto quella delle tecniche pittoriche, delle diverse strategie — compresa una serie di errori assai istruttivi — adottate dagli artisti per dominare le ombre. Una storia che sfocia in una vera e propria teoria delle ombre, che finisce per coincidere con quella della nascita della prospettiva. Di tale equivalenza si trovano tracce in Leonardo, Leon Battista Alberti, per arrivare a Desargues e Poncelet che ne hanno dato la sistemazione matematica definitiva.

Senza sapere come si comportano le ombre, lo stesso Galileo non avrebbe potuto leggere come «scabra e ineguale» la superficie della luna. Ma l’uso delle ombre in astronomia fa parte di un altro entusiasmante, e davvero centrale, capitolo. Senza le ombre non si riuscirebbe a capire come hanno fatto gli astronomi, dall’antichità fino agli inizi dell’età moderna — a occhio nudo, magari a partire da semplici meridiane a forma di ciotola — a conoscere così bene il cielo, a scoprire il perché delle eclissi e gli anelli di Saturno, a individuare la struttura del sistema solare, a determinare le latitudini, o a calcolare con una certa precisione il diametro della terra e la distanza di questa dal sole e dalla luna.

Insomma, la tesi di Casati è molto semplice: «Le ombre sono strumenti di conoscenza» e «la storia della scienza è intessuta della trama dell’ombra». Senza di essa geometria, matematica, astronomia, geografia forse non si sarebbero mai potute sviluppare. La nostra cultura, e il nostro linguaggio quotidiano, sono ingiusti con l’ombra. Nell’ombra si trama, ci si nasconde. L’ombra è oscura, inquietante. Nella caverna platonica diventa l’emblema stesso della mancanza di conoscenza, o della conoscenza ingannevole. Ma è proprio vero che le ombre ci ingannano sempre? Che ci impediscono di vedere il mondo come veramente è?

Casati rovescia fin dall’inizio la situazione. A costo di rivoltare l’ingiustizia contro Platone. Lo costringe a dialogare a ogni inizio di capitolo con Skia, la sua ombra, che da maltrattata e calpestata da colui che, malsopportandola, vorrebbe «sottrarre l’umanità dalle tenebre», ha poi modo, di prendersi tutte le possibili rivincite. Fino a strappare al suo padrone l’ammissione: «Ho imparato la lezione. Se scrivessi un altro libro sulla conoscenza, ti tratterei con più riguardo».

Ma cosa ha imparato Platone dalla sua ombra? Intanto ha imparato qualcosa su come sono fatte le ombre, su qual è il loro statuto "ontologico" o "metafisico". Paroloni, si dirà, ma non usati a caso. Nei libri di Casati peraltro essi perdono quella pomposità che molti filosofi tendono a conferire loro. Casati ha 38 anni. Lavora al Crea (Centre de Recherche en Epistémologie Appliquée) di Parigi dove si occupa di cognizione di oggetti strani: immagini, colori, suoni, luoghi, buchi e, naturalmente, ombre. Insieme ad Achille Varzi, professore alla Columbia University — altro valentissimo filosofo che non ha trovato spazio nell’accademia italiana: ma sulle "luci e ombre" di quest’ultima non qui è il caso di soffermarsi — ha scritto due libri importanti: Buchi e altre superficialità (tradotto da Garzanti) e Parts and Places (MIT Press, recensito da Maurizio Ferraris il 12 dicembre scorso).

Due libri di "ontologia applicata", appunto. E tale è anche, senza darlo troppo a vedere, La scoperta dell’ombra. Che resta soprattutto uno straordinario libro di divulgazione, pieno di aneddoti e di storie sorprendenti. Nel raccontare le quali però Casati — che proprio non ha il gusto dell’erudizione fine a se stessa — non dimentica mai il filo della propria originalissima competenza di filosofo e scienziato cognitivo.

Perché i bambini sono incuriositi e spaventati dalle ombre? Quali sono le caratteristiche metafisiche del mondo visto da un bebè che non ha ancora imparato a parlare? Perché nella sua visione del mondo le ombre hanno uno statuto ontologico diverso da quello dell’adulto? Che cosa impediva a Leonardo (che ce ne ha lasciato un disegno bruttissimo) di vedere le ombre della luna? Perché Galileo nell’incisione del Nuncius Sidereus si è inventato un cratere che non esisteva? Perché alcune ombre (molte delle quali presenti anche in quadri famosi) sono impossibili? Che cosa fa sì che il nostro occhio non sia disturbato dalle ombre e le interpreta sistematicamente come tali?

Sono tutte domande per rispondere alle quali bisogna chiarirsi le idee su che cosa è un’ombra, su che cosa la differenzia da altre entità che ombre non sono, quali sono le sue stranezze, senza esimersi dal definirle con precisione. «A ogni momento sono diversa, ma in quel momento sono costretta a essere un’immagine fedele di ciò di cui sono l’ombra — spiega alla fine Skia a Platone —. Per questo geometri, astronomi e pittori si sono fidati di me. Non avendo memoria, non posso ingannare nessuno quando consegno il messaggio che mi è stato affidato». E continua: «Le ombre sono oggetti fuori dal comune perché a metà strada tra le percezione e i pensieri»: «sono piene di pensieri, ma sono pensieri visibili a tutti». Anche in questo le ombre, a saperle prendere per il verso giusto, dimostrano di essere fedeli "amiche della conoscenza".

Roberto Casati, «La scoperta dell’ombra. Da Platone a Galileo la storia di un enigma che ha affascinato le grandi menti dell’umanità», Mondadori, Milano 2000, pagg. 278, L. 32.000; dell’autore si veda anche il sito www.shadowmill.com