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Domenica 20 Febbraio 2000
scienza_filosofiad
Perché astronomia, matematica e geografia si
sono sviluppate grazie a questa oscura compagna
La prospettiva dell’ombra
diArmando
Massarenti
Il sole ha un’immagine
immacolata del mondo perché «non ha mai visto l’ombra»,
scrive Goethe nel Faust. «Sarà anche immacolata, ma è
sicuramente piatta», ribatte Roberto Casati in questo suo
excursus su La scoperta dell’ombra. Egualmente piatte sono
le stanze e i volti delle foto scattate col flash, o le
immagini cui sono state cancellate le ombre. Il nostro
sistema visivo sarebbe a disagio in un mondo senza
chiaroscuri. Vedrebbe un mondo strano. E altrettanto strano
sarebbe essere condannati a vedere solo ombre, come capita
agli uomini incatenati nella famosa caverna di Platone.
Una volta Galileo («in quello che forse è il primo
esperimento di scienze cognitive») propose di annerire le
parti in ombra di una statua per eliminare il chiaroscuro.
Lo scopo era dimostrare la superiorità della pittura sulla
scultura. Non basta avere un bel volume per sembrare un
oggetto che ha un bel volume: bisogna anche fare
l’impressione giusta, e la pittura offre maggiori
possibilità. Una storia per nulla secondaria, tra le tante
che si intrecciano in questo libro, è appunto quella delle
tecniche pittoriche, delle diverse strategie — compresa una
serie di errori assai istruttivi — adottate dagli artisti
per dominare le ombre. Una storia che sfocia in una vera e
propria teoria delle ombre, che finisce per coincidere con
quella della nascita della prospettiva. Di tale equivalenza
si trovano tracce in Leonardo, Leon Battista Alberti, per
arrivare a Desargues e Poncelet che ne hanno dato la
sistemazione matematica definitiva.
Senza sapere
come si comportano le ombre, lo stesso Galileo non avrebbe
potuto leggere come «scabra e ineguale» la superficie della
luna. Ma l’uso delle ombre in astronomia fa parte di un
altro entusiasmante, e davvero centrale, capitolo. Senza le
ombre non si riuscirebbe a capire come hanno fatto gli
astronomi, dall’antichità fino agli inizi dell’età moderna
— a occhio nudo, magari a partire da semplici meridiane a
forma di ciotola — a conoscere così bene il cielo, a
scoprire il perché delle eclissi e gli anelli di Saturno, a
individuare la struttura del sistema solare, a determinare
le latitudini, o a calcolare con una certa precisione il
diametro della terra e la distanza di questa dal sole e
dalla luna.
Insomma, la tesi di Casati è molto
semplice: «Le ombre sono strumenti di conoscenza» e «la
storia della scienza è intessuta della trama dell’ombra».
Senza di essa geometria, matematica, astronomia, geografia
forse non si sarebbero mai potute sviluppare. La nostra
cultura, e il nostro linguaggio quotidiano, sono ingiusti
con l’ombra. Nell’ombra si trama, ci si nasconde. L’ombra è
oscura, inquietante. Nella caverna platonica diventa
l’emblema stesso della mancanza di conoscenza, o della
conoscenza ingannevole. Ma è proprio vero che le ombre ci
ingannano sempre? Che ci impediscono di vedere il mondo
come veramente è?
Casati rovescia fin dall’inizio la
situazione. A costo di rivoltare l’ingiustizia contro
Platone. Lo costringe a dialogare a ogni inizio di capitolo
con Skia, la sua ombra, che da maltrattata e calpestata da
colui che, malsopportandola, vorrebbe «sottrarre l’umanità
dalle tenebre», ha poi modo, di prendersi tutte le
possibili rivincite. Fino a strappare al suo padrone
l’ammissione: «Ho imparato la lezione. Se scrivessi un
altro libro sulla conoscenza, ti tratterei con più
riguardo».
Ma cosa ha imparato Platone dalla sua
ombra? Intanto ha imparato qualcosa su come sono fatte le
ombre, su qual è il loro statuto "ontologico" o
"metafisico". Paroloni, si dirà, ma non usati a caso. Nei
libri di Casati peraltro essi perdono quella pomposità che
molti filosofi tendono a conferire loro. Casati ha 38 anni.
Lavora al Crea (Centre de Recherche en Epistémologie
Appliquée) di Parigi dove si occupa di cognizione di
oggetti strani: immagini, colori, suoni, luoghi, buchi e,
naturalmente, ombre. Insieme ad Achille Varzi, professore
alla Columbia University — altro valentissimo filosofo che
non ha trovato spazio nell’accademia italiana: ma sulle
"luci e ombre" di quest’ultima non qui è il caso di
soffermarsi — ha scritto due libri importanti: Buchi e
altre superficialità (tradotto da Garzanti) e Parts and
Places (MIT Press, recensito da Maurizio Ferraris il 12
dicembre scorso).
Due libri di "ontologia
applicata", appunto. E tale è anche, senza darlo troppo a
vedere, La scoperta dell’ombra. Che resta soprattutto uno
straordinario libro di divulgazione, pieno di aneddoti e di
storie sorprendenti. Nel raccontare le quali però Casati —
che proprio non ha il gusto dell’erudizione fine a se
stessa — non dimentica mai il filo della propria
originalissima competenza di filosofo e scienziato
cognitivo.
Perché i bambini sono incuriositi e
spaventati dalle ombre? Quali sono le caratteristiche
metafisiche del mondo visto da un bebè che non ha ancora
imparato a parlare? Perché nella sua visione del mondo le
ombre hanno uno statuto ontologico diverso da quello
dell’adulto? Che cosa impediva a Leonardo (che ce ne ha
lasciato un disegno bruttissimo) di vedere le ombre della
luna? Perché Galileo nell’incisione del Nuncius Sidereus si
è inventato un cratere che non esisteva? Perché alcune
ombre (molte delle quali presenti anche in quadri famosi)
sono impossibili? Che cosa fa sì che il nostro occhio non
sia disturbato dalle ombre e le interpreta sistematicamente
come tali?
Sono tutte domande per rispondere alle
quali bisogna chiarirsi le idee su che cosa è un’ombra, su
che cosa la differenzia da altre entità che ombre non sono,
quali sono le sue stranezze, senza esimersi dal definirle
con precisione. «A ogni momento sono diversa, ma in quel
momento sono costretta a essere un’immagine fedele di ciò
di cui sono l’ombra — spiega alla fine Skia a Platone —.
Per questo geometri, astronomi e pittori si sono fidati di
me. Non avendo memoria, non posso ingannare nessuno quando
consegno il messaggio che mi è stato affidato». E continua:
«Le ombre sono oggetti fuori dal comune perché a metà
strada tra le percezione e i pensieri»: «sono piene di
pensieri, ma sono pensieri visibili a tutti». Anche in
questo le ombre, a saperle prendere per il verso giusto,
dimostrano di essere fedeli "amiche della
conoscenza".
Roberto Casati, «La scoperta
dell’ombra. Da Platone a Galileo la storia di un enigma che
ha affascinato le grandi menti dell’umanità», Mondadori,
Milano 2000, pagg. 278, L. 32.000; dell’autore si veda
anche il sito www.shadowmill.com
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